La Corte di Cassazione, con la sentenza 7 gennaio 2019, n. 138, ha stabilito che chi non partecipa alla formazione per la sicurezza è licenziabile.
Il ricorso di un lavoratore, messo alla porta per non aver partecipato a un corso aziendale (obbligatorio) in materia di prevenzione, è stato respinto. Per questo motivo, la lettera di licenziamento è stata ritenuta legittima.
Si tratta di una sentenza che sottolinea due concetti chiave.
Il primo: la tutela della propria incolumità è un dovere, così come è stato sancito dal testo unico della sicurezza (D.Lgs. 81/2008). Il secondo: non aderire alla formazione in materia sicurezza fa venir meno il rapporto di fiducia fra datore di lavoro e lavoratore. Se vengono meno questi due presupposti può scattare il licenziamento per giusta causa. Cosa che è puntualmente avvenuta. E la suprema Corte ha messo il timbro dopo tutti i gradi di giudizio.
L’orientamento seguito dai giudici di legittimità si pone in sintonia con il D.Lgs. n. 81/2008, con il quale, per altro, è stato definitivamente consacrato l’abbandono del cosiddetto modello “iperprotettivo” del lavoratore.
L’art. 20, comma 2, lett. a), del D.Lgs. n. 81/2008, stabilisce l’obbligo da parte del lavoratore di «osservare le disposizioni e le istruzioni impartite dal datore di lavoro, dai dirigenti e dai preposti, ai fini della protezione collettiva ed individuale»; queste disposizioni sono espressione tipica del potere direttivo-organizzativo del datore di lavoro, funzionali all’assolvimento dell’obbligazione di sicurezza (art. 2087 del codice civile).
L’inosservanza, quindi, della disposizione aziendale di partecipare a un corso di formazione in materia di sicurezza costituisce, secondo l’art. 2119 del codice civile, una causa che non consente la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto di lavoro.